“Cammina con me fino alla fine,

guardiamo attentamente nell’abisso.

Hai voglia di lasciarti andare?

Mi chiedo quanto in basso sia finito.

Niente è divertente,

non come prima.

Non mi fai più sballare.”

– Three Days Grace, “You don’t get me high anymore”.

Nell’estrapolazione del brano riportato, emerge in modo chiaro e ambiguo al tempo stesso il rapporto di ambivalenza e di dipendenza che si instaura in alcune relazioni. Esattamente come nel rapporto con una sostanza stupefacente, ci si trova, più o meno consapevolmente, a dipendere dall’altro, a non poter fare a meno della sua presenza e a non saper bastare a se stessi in sua assenza. Si instaura, dunque, un rapporto fortemente ambivalente, che pone i due partner in una posizione di squilibrio.

Che relazione c’è tra una tossicodipendenza e una dipendenza affettiva? Da dove nasce questa insicurezza?

È, anzitutto, opportuno definire cosa si intende per tossicodipendenza.

La tossicodipendenza (TD) e la sua evoluzione psicosociale

L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce la TD una “malattia ad andamento cronico e recidivante che spinge l’individuo, in maniera coatta, ad assumere sostanze a dosi crescenti o costanti per avere temporanei effetti benefici soggettivi, la cui persistenza è indissolubilmente legata alla continua assunzione della sostanza”.

Diagnosticare una tossicodipendenza, dunque, è un processo profondamente delicato che richiede l’intervento e la consultazione di servizi specifici (ex Ser.T, Ser.D).

Già Freud associò la tossicodipendenza ad una particolare struttura di personalità e, in particolare, individuò nella cosiddetta “vulnerabilità dell’Io dell’individuo dipendente” la predisposizione all’assunzione di sostanze. Secondo la teoria freudiana, l’Io è l’istanza psichica responsabile della mediazione tra il mondo interno e quello esterno, che regola la percezione e l’espressione delle emozioni.

In un’epoca storica successiva, l’intuizione teorica dello psicanalista Khantzian descrive una prospettiva psicodinamica in evoluzione. Partendo dall’inclusione di modelli psicodinamici contemporanei (teoria strutturale, teoria del Sé e teoria delle relazioni oggettuali), focalizza l’attenzione sugli aspetti negativi della tossicodipendenza: non è il piacere a rendere irresistibile (compelling) l’assunzione della sostanza, ma il dolore originato dalle emozioni percepite come incontrollabili e, perciò, ritenute intollerabili.

 

Saper accettare un “NO”: il ruolo della frustrazione

La maggior parte delle evidenze empiriche, derivanti sia dalla pratica clinica con adulti che dall’osservazione diretta dei bambini, dà idea del ruolo evolutivo svolto dalla frustrazione. Nei casi di sviluppo sano, il bambino si confronta con una delusione sufficientemente tollerabile che gli consente di regolare il proprio mondo interno con quello esterno. Al contrario, in presenza di ambienti ipostimolanti, arresti evolutivi in questa fase dello svilippo, esperienze traumatiche possono compromettere queste strutture dell’Io.

La forma estrema di dipendenza verso uno o più oggetti d’amore si pone in questi casi come una difesa dell’Io nei confronti di una frustrazione troppo grande da tollerare.

Tossicodipendenza e Dipendenza Affettiva: quale relazione?

L’uso di droga si manifesta quasi come un “tentativo di autocura”.

 

Ma cosa cura l’assunzione della sostanza?

Il non essersi sentiti accolti, compresi, rispecchiati nei propri stati emotivi da quello che era “l’oggetto d’amore” primario può aver contribuito, con tutta probabilità, alla formazione di quello che viene percepito come un vuoto emotivo relativamente difficile da colmare. La compresenza di questo stato emotivo e di esperienze di vita scarsamente costruttive può incentivare la ricerca all’esterno di ciò che all’interno manca. La presenza della sostanza e/o dell’Altro-da-me con il quale si instaura un rapporto di dipendenza assolvono il medesimo compito di colmare il vuoto interiore percepito. È la mancanza dell’oggetto d’amore interiorizzato (ovvero le nostre principali figure di accudimento e/o di riferimento) a rendere, tuttavia, incolmabile tale vuoto. Ed è questa ambivalente oscillazione tra ricerca all’esterno ed incolmabilità interna che rende il medesimo meccanismo dell’addiction (caratterizzato da perdita di controllo nell’uso e desiderio irrefrenabile di assunzione) ravvisabile in entrambe le forme di dipendenza.

 

Per concludere…

Riconoscere la presenza di una forma di dipendenza è il primo passo per incamminarsi verso la risoluzione del problema. Come accennato, diagnosticare la presenza di una dipendenza -sia essa da sostanze o di tipo affettivo- è un processo estremamente delicato che richiede necessariamente la consultazione di un professionista e/o di servizi terapeutici specifici (ex Ser.T, Ser.D).

È, altresì, nella relazione terapeutica che si crea la possibilità di sperimentare una relazione nuova: una relazione che cura, accoglie e contiene il dolore derivante da quel vuoto emotivo dalle origini tanto antiche quanto radicate. Una relazione nella quale il rapporto con l’Altro diventa protettivo e rassicurante anche nella separazione. Una relazione nella quale si assume con costanza e regolarità la propria “dose di amore” in un movimento di vicinanza-distanza sano ed equilibrato.

 

Dott.ssa Federica Beglini