Secondo la Treccani il desiderio può essere definito come il “sentimento della mancanza di cosa necessaria al nostro interesse fisico o spirituale”.

Può, quindi, qualcosa di necessario e di nostro interesse farci paura?

Siamo soliti pensare che se desideriamo una cosa, quando la otteniamo (o stiamo per ottenerla) possiamo concederci una sola emozione: la gioia connessa alla soddisfazione di aver raggiunto l’obiettivo.

Tuttavia, se svincoliamo il desiderio dalla rigida associazione con la gioia del suo raggiungimento, possiamo scoprire l’infinita gamma di emozioni ad esso connesso, compresa la paura. Paura più propriamente intesa in termini di angoscia e relativa a quel sentimento di mancanza che al desiderio dà origine e lo precede.

 

Angoscia: una paura priva di oggetto

Contrariamente alla paura, l’angoscia non si riferisce a nulla di preciso.

Può essere definita come una paura priva di oggetto che impone una sospensione, un tempo di attesa entro il quale non abbiamo certezza del nostro agire. Essa destabilizza perché pone in luce quello stato emotivo che non riflette la realtà, bensì una possibilità.

“Nel possibile tutto è possibile” scrive Kierkegaard, perché ogni circostanza umana racchiude in sé una duplice possibilità: “possibilità che sì” e “possibilità che no”; dunque si è sempre esposti alla minaccia del nulla. Desiderare di avere un posto nella vita (e cioè nel desiderio) dell’Altro, ma non avere certezza che l’Altro a sua volta desideri la medesima cosa e, dunque, la accolga positivamente, determina un profondo senso di destabilizzazione e dubbio. Non essere in grado di interpretare cosa l’Altro desideri da noi fa, inevitabilmente, sentire angosciati, spaesati, insicuri. Ci fa sentire in balia di quell’infinità di domande a cui non possiamo rispondere se non nella misura in cui accettiamo la possibilità di ciò che sarà.

Il possibile è una rappresentazione del futuro ed è il futuro stesso a generare l’angoscia: angoscia per ciò che sarà e che, perciò, è ancora sconosciuto.

Anche il passato può racchiudere in sé un’angoscia futura, perché rappresenta la possibilità che ciò che è stato può ripetersi e, dunque, nuovamente tornare ad essere.

Possiamo pensare, quindi, che l’angoscia non solo precede il desiderio ma ne è, forse, una dimensione imprescindibile.

 

La minaccia del nulla

Lo psicoanalista francese Jacques Lacan (1901-1981) colloca il desiderio nella mancanza che il bambino vive nella separazione dalla madre.

Sentimento che ricorre in ogni separazione dall’oggetto d’amore anche in età adulta.

La separazione dall’Altro espone al rischio del nulla: nella separazione si accentuano i confini che fanno dell’uno e dell’altro due individui separati, si fa esperienza del vuoto, percepito conseguentemente alla possibilità di divenire nulla per l’Altro.

Nella separazione si sperimenta la minaccia del non essere più riconosciuti dall’Altro, del non ricoprire più quel ruolo insostituibile nella sua vita e nella sua mente. La separazione ci obbliga a fare i conti con la possibilità che l’Altro possa smettere di pensare a noi, di tenerci nel proprio desiderio.

Il desiderio dell’uno trova il suo senso nel desiderio dell’altro, non tanto perché l’altro detenga le chiavi dell’oggetto desiderato, quanto perché il suo primo oggetto è di essere riconosciuto dall’altro.

(Jacques Lacan, 1953)

Il principale desiderio dell’essere umano è avere un posto nella vita dell’Altro, rivestire un valore per l’Altro; è desiderio di essere accolti nel desiderio dell’Altro e di sentirsi desiderati.

 

Che fine si fa se l’Altro smette di desiderarci?

Lacan sintetizza questa preoccupazione primaria nella richiesta “puoi perdermi?” che, tradotta nel quotidiano, altro non è che la (più o meno) tacita richiesta: “puoi vivere senza di me? Puoi vivere senza avvertire la mia mancanza? Senza di me la tua vita sarebbe la stessa?”

Il desiderio dell’Altro come altro-da-me è apertura, legame positivo che non costringe, ma dona riconoscimento e libertà di esprimere se stessi.

La richiesta di riconoscimento da parte dell’Altro accompagna l’essere umano fin dalle primissime fasi di vita e spalanca le porte sulla possibilità di desiderare. Desiderio di sentirsi riconosciuti che, se non adeguatamente soddisfatto, potrebbe restituire all’individuo un feedback erroneo e fittizio circa la propria capacità di desiderare.

Il dono d’amore è racchiuso proprio qui: nel donare all’Altro quello che non si ha.
Il desiderio dell’Altro mostra come il desiderio umano abbia una struttura relazionale: proviene dall’Altro e verso l’Altro è diretto, perché il desiderio non può bastare a se stesso.

Riconoscersi parte attiva del proprio desiderio e concedersi di lasciarlo fluire (anche quando ci pone a confronto con le nostre paure) permette un sano ricongiungimento con se stessi, condizione primaria per il ricongiungimento con l’Altro.

 

Dott.ssa Federica Beglini