Le due forze vitali: Pran Vayu e Apana Vayu
Nella filosofia dello yoga si parla di cinque energie vitali, chiamate Prana o Vayu, che influenzano profondamente le nostre funzioni fisiologiche e psicologiche:
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Pran Vayu
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Apana Vayu
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Udana Vayu
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Samana Vayu
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Vyana Vayu
Ognuna di queste rappresenta un aspetto fondamentale della nostra esistenza e contiene riflessioni simboliche ricche di significato. Tuttavia, vorrei soffermarmi in particolare sui primi due: Pran Vayu e Apana Vayu.
Pran Vayu è l’energia del movimento, della vitalità, della spinta verso l’esterno. È collegato all’inspirazione, alla motivazione, alla velocità del pensiero e dell’azione. Si manifesta fisiologicamente nella zona del cuore e dei polmoni.
Apana Vayu, al contrario, è l’energia della calma, della discesa, del rilascio. È associato alla capacità di lasciare andare ciò che non serve più: pensieri, emozioni, tossine. Agisce nell’area pelvica e nell’intestino, facilitando i processi di eliminazione e di radicamento.
Desiderio e Sicurezza
Questa dualità mi ha sempre profondamente affascinata. Perché in essa si riflette una tensione universale: quella tra desiderio e sicurezza.
Siamo tutti fatti di entrambe queste forze. Pran Vayu rappresenta il desiderio, il coraggio di espandersi, la voglia di mettersi in gioco. Apana Vayu, invece, incarna la ricerca di stabilità, di protezione, di sicurezza.
Ed è proprio tra queste due spinte che si generano molti dei nostri conflitti interiori: seguire il proprio desiderio richiede coraggio, implica affrontare l’ignoto e rinunciare a certezze costruite nel tempo. Al contrario, scegliere la sicurezza risponde a un bisogno profondo, primordiale: quello di sentirsi protetti, al sicuro. Un bisogno che si manifesta fin dalla nascita e che spesso associamo al sentirci amati.
Ecco perché, nonostante relazioni o situazioni ci rendano infelici, fatichiamo a lasciarle andare: non ci rendono felici, è vero, ma ci danno sicurezza. E questo, in certi momenti, può pesare più della felicità.
Il paradosso umano
Oscilliamo continuamente tra l’euforia e l’apatia. Tra il desiderio di realizzarci pienamente e il bisogno – talvolta inconscio – di autosabotarci.
In termini psicoanalitici, potremmo dire che ci muoviamo tra la pulsione di vita e la pulsione di morte. Non perché siamo patologicamente scissi, ma perché essere umani significa proprio questo: essere in divenire, attraversati da forze opposte.
A volte scegliamo consapevolmente l’infelicità, la routine, la stasi. Lo facciamo perché il conosciuto rassicura, anche quando non ci nutre più. È una scelta che potremmo definire “mortifera”, simbolicamente parlando: è la scelta di restare dove ci sentiamo sicuri (Apana Vayu), rinunciando momentaneamente alla spinta del desiderio (Pran Vayu).
Non c’è nulla di patologico in questo. Non siamo “divisi” nel senso clinico del termine: siamo complessi, contraddittori, pieni di sfumature. Umani, insomma.
La sfida sta nell’integrare queste spinte opposte, nel riconoscerle e nel trovare il nostro personale equilibrio per armonizzare le nostre contraddizioni.
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